Michelangelo Merisi o Caravaggio

Detto Caravaggio per via del paese di origine della famiglia (vicino a Milano), è il più grande pittore del Barocco e uno degli artisti italiani più grandi di sempre. Non ebbe bottega e allievi per via del suo caratteraccio ma il suo stile lascio traccia nell’arte successiva, dove alcuni pittori (i caravaggisti) lo imitarono. Nell’infanzia vive a Milano, si trasferisce a Roma nel 1593, nella bottega di Giuseppe Cesari Si specializza nelle nature morte e presto si rivela il suo grande talento nella rappresentazione realistica degli oggetti.

La canestra di frutta (1597)

Il dipinto mostra un cesto di vimini contenente dell’uva, dei fichi, delle pere, una mela. Lo sfondo è chiaro e neutro di colore giallo. La perfezione fotografica nasconde la decomposizione. Si vede la mela bacata, l’uva troppo matura, le foglie appassite, tutto a significare la transitorietà delle cose terrene. Questa è una vanitas, una natura morta che ha come tema la caducità della vita. Il termine vanitas deriva dalla locuzione latina biblica “vanitas vanitatum et omnia vanitas” e, come il “memento mori” è un ammonimento a tener sempre presente l’effimera condizione dell’esistenza.

Questa visione è visibile in altre sue nature morte e in tutta la produzione seicentesca dei pittori del nord Europa.

 

Testa di Medusa (1597)

Medusa è uno delle tre Gòrgoni, al contrario di queste (Steno e Euralio) lei non è immortale. Fu trasformata in tale da Atena, o come punizione per aver giaciuto con Poseidone oppure per una sfida di bellezza. Perseo viene mandato da Polidette (re di Serifo), che aveva pensato di sbarazzarsi di lui per poter spore la madre, ad uccidere Medusa. Arrivato sull’isola delle Gorgoni Perseo le trova addormentate e, guardando nel riflesso dello scudo per non essere pietrificato, decapitò la Gorgone. Tornato con la testa mozzata da Polidette, costui venne pietrificato, scoperto questo fatto Atena fisso sul suo scudo la testa, di modo da utilizzarla in battaglia.

Nel dipinto l capo è grondante di sangue e gli occhi spalancati in un’espressione di terrore, la Gòrgone è rappresentata su tela su uno scudo bombato di forma circolare. Proprio questo scudo ricorda sia lo scudo con cui Perseo sconfisse Medusa facendola riflettere, sia l’utilizzo che ne fece Atena conseguentemente. Si vede l’estremo realismo del soggetto nei dettagli del volto e dei serpenti che lo attorniano. Il chiaroscuro modella il viso e stacca nettamente la testa dallo sfondo verde proiettando un’ombra sulla destra. L’intento è di mostrare la crudezza, si vedono quindi dettagli macabri come gli schizzi di sangue. Altro aspetto delle opere caravaggistiche è la teatralità della scena: è infatti rappresentato il momento più carico di tensione e più dinamico, quando Medusa è ancora viva e urla per l’orrore con i serpenti impazziti. Rispetto ad altre rappresentazioni di Medusa, come il busto di Bernini o il dipinto di Rubens, dove comunque viene rappresentata una scena forte, quella di Caravaggio è la più drammatica.

 

Oltre a questi tipi di scene, Caravaggio introduce la scena di genere, la rappresentazione di momenti di vita quotidiana. Questo approccio intimistico e attenzione alle piccole cose è l’altra parte del pensiero barocco. Si osserva il mondo nella sua realtà, sia che si tratti di un Baro che della Buona Ventura (una chiromante che fa finta di leggere la mano a un giovane ingenuo per rubargli l’anello. Prima di Caravaggio fu Annibale Carraci a dipingere la Bottega del macellaio, rappresentando al contempo natura morta e scena di genere. Si notano in alcune delle sue opere personaggi con i piedi sporchi. Questa non è un irriverenza del pittore, fa parte invece della sua concezione religiosa poiché, per lui, la salvezza è degli ultimi, quelli che appunto vanno in giro senza scarpe.

 

La vocazione di San Matteo (olio su tela, 1599-1600)

Questo dipinto si trova con altri due nella Cappella Contarelli, presso la chiesa romana di San Luigi dei Francesi. Queste opere rappresentano la storia di San Matteo: la vocazione a sinistra, la scrittura del Vangelo al centro e il martirio a destra. Al posto di affreschi vi sono tre grandi tele, sulle tele, al contrario degli affreschi, si potevano apportare delle modifiche sostanziali. Lo sfondo è cupo e le figure illuminate.

Il momento raffigurato è quello in cui Matteo (gabelliere), mentre conta il denaro con altri uomini attorno a un tavolo, viene chiamato da Cristo che entra in scena da destra, parzialmente coperto dalla figura di San Pietro che lo accompagna. Matteo, voltandosi, indica se stesso con stupore. È chiaro che lo Cristo lo sta chiamando, costui allunga infatti la mano, con il dito leggermente sollevato (richiamo alla Creazione di Michelangelo). La luce irrompe da una finestra sulla destra se sfiora il volto e la mano di Cristo e riversandosi poi sui personaggi. Stratagemma è quindi la luce, un espediente pittorico, che conferisce teatralità e carica emotiva alla scena.

 

Cena di Emmaus (1601)

La scena, in una stanza in penombra, è il momento in cui Cristo risorto di fa riconoscere da Cleofa e un altro apostolo dopo aver benedette e spezzato il pane, è carica di tensione per il miracolo.

Cleofa, di spalle, sta per balzare in piedi dalla savonarola su cui siede, l’altro apostolo spalanca le braccia per lo stupore. L’oste è perplesso. Lo scorcio degli arti di Cristo e dell’apostolo creano profondità in un ambiente privo di elementi prospettici a parte il bordo destro del tavolo. Il tavolo è un trionfo del virtuosismo barocco: una canestra di frutta, un pollo al centro e una brocca di vetro trasparente che riflette la finestra da cui arriva la luce.

Più tardi Caravaggio riprenderà la scena ma facendola più cupa e con un senso più profondo e più religioso dell’episodio.

 

La deposizione della croce (1600-1604)

Venne dipinta per la cappella di famiglia di Girolamo Vittrice in Santa Maria in Vallicella a Roma. La scena, carica di pathos, non è la classica deposizione, ovvero la discesa del corpo dalla croce o il suo seppellimento, ma il momento in cui questo viene poggiato sulla pietra dell’unzione per essere lavato, cosparso di unguenti ed avvolto nel sudario.

Il corpo di Cristo, livido come marmo, è trattenuto a fatica da Nicodemo in primo piano, il cui sforzo è evidente nelle vene delle caviglie ingrossate, e da Giovanni dal mantello rosso che ne sostiene le spalle mentre ne osserva incredulo il volto terreo. Un braccio di Cristo scivola verso il basso echeggiando, riferimento a la Pietà in San Pietro di Michelangelo.

La rigidità del corpo è affievolita dal morbido drappo del sudario che scende sulla lastra sottostante.

La Madonna dal capo coperto, Maria Maddalena che asciuga gli occhi e Maria di Cleofa con le braccia al cielo formano una composizione diagonale di grande dinamismo. La lastra marmorea è l’unico elemento che ricorda un luogo tenebroso. La luce, proveniente da sinistra colpisce i personaggi, distinguendo i vivi dai morti.

 

La morte della Vergine (1605)

Questo quadro fu rifiutato sdegnosamente dai committenti, era stato preso da modello il cadavere di una prostituta per rappresentare la Vergine.

La scena rappresenta quindi Maria defunta circondata dagli apostoli in lacrime, posizionata su un lettino di fortuna. Il dolore è evidente, anche da un apostolo che si asciuga gli occhi con i pugni. Anche nel rappresentare figure religiose utilizza per modelli persone comuni. Una sottilissima aureola conferisce sacralità al personaggio. Altro elemento tipico del barocco è il drappo rosso, raffigurato quasi come un sipario che fa assistere allo spettacolo della morte e del dolore.

La luce arriva da sinistra, probabilmente da un’alta finestra, non visibile sulla tela.

Lo stesso drappo rosso lo si ritrova in un’altra scena biblica:

 

Giuditta che decapita Oloferne (1602)

Qui Giuditta, forte e dalle braccia robuste, taglia la testa al generale assiro lasciando sgorgare un fiotto abbondante di sangue.

Una piccola increspatura nella fronte di lei rivela al contempo la determinazione e il disgusto di quest’ultima. Al suo fianco un’anziana ancella osserva la scena porgendo il sacco dove verrà messa la testa.

 

Nel 1609 torna a Napoli sperando di ricevere la grazia, invia al cardinale Scipione Borghese una supplica perché interceda presso il papa e un dipinto raffigurante “David con la testa di Golia”. È il terzo quadro che dedica a questo episodio biblico. In tutti e tre i dipinti l’eroe non è raffigurato prima dell’azione come in Michelangelo, né ha la testa sotto il piede come in altre sculture rinascimentali.

Il secondo e il terzo dipinto ricordano invece il Perseo di Benvenuto Cellini con la spada in una mano e la testa di Medusa protesa in avanti con gesto trionfante ma la somiglianza è solo nella postura. Il significato è, infatti, del differente. La sofferenza, il tormento, unisce vincitori e vinti. La tensione è palpabile e l’osservatore è assalito dallo sgomento.

Nel terzo dipinto David guarda con severità e al contempo con compassione al capo mozzato che tiene in mano. La testa grondante sangue ma con gli occhi ancora sgranati (come per Medusa), essa viene offerta al fascio di luce come triste trofeo. Per manifestare in modo inequivocabile il proprio pentimento, Caravaggio ritrae se stesso nel volto di Golia decapitato.

Arriva da Roma la notizia che papa Paolo V ha preso in considerazione la sua richiesta di grazia, motivo che spinge Caravaggio ad intraprendere l’ultimo viaggio della sua vita su una nave diretta a Porto Ercole. Ma qui, smarrito il bagaglio di tele che sarebbero servite come riscatto, malato di malaria e abbandonato a se stesso, a trentanove anni muore di stenti su una spiaggia. Il giorno prima che gli arrivi la notizia della grazia finalmente ottenuta.

Michelangelo Merisi o Caravaggio