Ugo Foscolo

Ugo Foscolo nasce nel 1778 a Zacinto, governata dalla repubblica di venezia.

Nel 1793 si trasferisce a Venezia, dove frequenterà i più importanti letterati del tempo.

Smette di essere sostenitore di Napoleone quando esso cede la repubblica di Venezia all'Austria (con il trattato di Campoformio del 1797), e allora decide di andare in esilio.

Ugo foscolo morirà nel 1827 a Londra.

A Zacinto

A Zacinto è un sonetto che Foscolo dedica al luogo dove è nato, quando ormai era già in esilio.

Testo:

 

Nè più mai toccherò le sacre sponde
Ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell’onde
Del greco mar, da cui vergine nacque

Venere, e fea quelle isole feconde
Col suo primo sorriso, onde non tacque
Le tue limpide nubi e le tue fronde
L’inclito verso di Colui che l’acque

Cantò fatali, ed il diverso esiglio
Per cui bello di fama e di sventura
Baciò la sua petrosa Itaca Ulisse?

Tu non altro che il canto avrai del figlio,
O materna mia terra; a noi prescrisse
Il fato illacrimata sepoltura.

Parafrasi

Non toccerò mai più le spiagge dell' isola dove sono nato, o mia Zacinto, che ti rifletti nelle onde del mar greco (ossia il mar Ionio) da cui nacque Venere che rese fertili tutte le isole lì intorno con il suo primo sorriso, motivo per cui non passarono sotto silenzio le tue limpide nubi e la tua vegetazione il famoso poema di colui che cantò il viaggio per mare voluto dal fato e l'esilio per varie terre al termine del quale Ulisse, reso bello dalla fama e dalle sventure, riuscì ad arrivare ad Itaca. Tu, o mia terra materna, invece non potrai avere altro che le mie poesie: a me il fato ha riservato una sepoltura su cui nessuno dei miei cari potrà venire a piangere.

 

In morte del fratello Giovanni

In morte del fratello Giovanni è fra i sonetti più importanti di Foscolo. Attraverso i suoi versi, composti intorno al 1803, il poeta vuole rendere omaggio alla memoria del fratello suicida per debiti di gioco.
Il risultato è un componimento che si apre e si chiude con l’immagine del poeta esiliato che immagina la visita alla tomba del fratello ma a lui è negata anche la possibilità di piangere sulla tomba del fratello Giovanni.

Testo

Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente, mi vedrai seduto
du la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de' tuoi gentili anni caduto:

la madre or sol, suo dì tardo traendo,
parla di me col tuo cenere muto:
ma io deluse a voi le palme tendo;
e se da lunge i miei tetti saluto,

sento gli avversi Numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta;
e prego anch'io nel tuo porto quiete:

questo di tanta speme oggi mi resta!
straniere genti, l'ossa mie rendete
allora al petto della madre mesta.

Parafrasi

Un giorno, se io non andrò sempre vagando di nazione in nazione, mi vedrai stare
sulla tua tomba, fratello mio, piangendo per la tua morte prematura. Solo nostra madre, che si trascina dietro il peso dei suoi anni, ora parla di me alle tue spoglie mute. Intanto io tendo le mani verso di voi senza speranza e saluto soltanto da lontano i tetti della mia patria. Sento l’ostilità del destino e i reconditi
tormenti interiori che rovinarono la tua esistenza, e anche io invoco la pace nella morte insieme a te. Di tante speranze oggi mi resta solo questo! Popoli stranieri, quando morirò, restituite le mie spoglie alle braccia della madre inconsolabile.

 

Alla sera

Alla sera è un sonetto: si compone di quattordici versi endecasillabi suddivisi in due quartine e due terzine. Il componimento è dedicato alla sera, ovvero a quel momento della giornata che stimola una riflessione sulla morte.

Forse perché della fatal quïete
Tu sei l’immago, a me sí cara vieni,
O Sera! E quando ti corteggian liete
Le nubi estive e i zeffiri sereni, 

E quando dal nevoso aere inquïete
Tenebre e lunghe all’universo meni,
Sempre scendi invocata, e le secrete
Vie del mio cor soavemente tieni.

Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme
Che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
Questo reo tempo, e van con lui le torme

Delle cure onde meco egli si strugge;
E mentre io guardo la tua pace, dorme
Quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.

Parafrasi

Forse perché tu sei l’immagine della quiete voluta dal fato, a me giungi così gradita, Sera! Sia quando le nubi estive e gli zefiri sereni ti accarezzano con dolcezza, sia quando nel cielo nevoso rechi con te all’universo tenebre lunghe e inquiete, sempre scendi invocata, e le vie nascoste del mio cuore governi soavemente. Mi fa vagare di pensiero in pensiero sulle orme che conducono al nulla eterno; e intanto fugge questo tempo malvagio, e con lui se ne vanno tutte le ansie, nelle quali esso si distrugge con me; e mentre contemplo la tua pace, si placa quello spirito guerriero che in me ruggisce.